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Boom di richieste di adolescenti al chirurgo estetico.
Labbra carnose, zigomi pronunciati, qualsiasi parte del corpo esposta e inneggiata: queste le caratteristiche più diffuse che trasformano le persone in ‘personaggi’, dando loro un ruolo anche all’interno di questa società che non è solo l’epoca dell’immagine ma anche dell’immaginario
“Rich girl face” è il nuovo fenomeno che sta progressivamente spopolando tra ragazze e ragazzi molto giovani che frequentano gli studi di medicina estetica per subire una ‘trasformazione’ della propria immagine e assomigliare sempre di più ai canoni di bellezza percepiti secondo la moda del momento, quella diffusa tra i personaggi più popolari. La medicina estetica viene vissuta sempre più spesso come una procedura per assomigliare ai personaggi di certi ambienti ‘social’, fenomeno che sottende una modificazione dei comportamenti molto importante. I medici estetici, che vivono la situazione dall’interno, hanno iniziato a porsi delle domande, soprattutto a tutela dei pazienti più giovani, come gli adolescenti e i giovanissimi fino ai 24 anni che sono sempre più condizionati dai social media.
“Rispetto al passato – spiega Nadia Fraone, consigliere della Società Italiana di Medicina Estetica (SIME) – registriamo una vera e propria inversione di tendenza: mentre fino a pochi decenni fa si tendeva a nascondere i trattamenti di medicina estetica, adesso si pensa a quest’ultima come ‘medicina del benessere’ intesa soprattutto come possibilità di curare la propria immagine. E anche la medicina estetica risente di queste nuove richieste, non trovandosi più ad accompagnare il paziente nel percorso normale di invecchiamento ma piuttosto a ‘aiutare’ una vera e propria trasformazione della persona”.
Una medicina estetica come strumento per assomigliare a canoni di bellezza conclamati dai social media: labbra carnose, zigomi pronunciati, un corpo da esporre e esibire: queste le caratteristiche più diffuse che trasformano le persone in ‘personaggi’, dando loro un ruolo che appartiene più che all’epoca dell’immagine a quella dell’immaginario. “Si tratta di un fenomeno sociologico che rivela la fragilità e l’insicurezza dei giovani, che non hanno un’identità precisa e trovano così il modo di crearsela ad imitazione di idli dei social media – osserva la dottoressa -. È qui che interviene la consapevolezza del medico estetico, che nel suo lavoro realizza il concetto di ‘bello’ sul corpo si un’altra persona. E per far questo deve riuscire a consigliare e ascoltare il giovane paziente per far capire che corpo e psiche non sono due cose distinte ma univoche, e che il benessere passa attraverso la consapevolezza e il miglioramento di entrambi”.
L’aumento volumetrico delle labbra è l’intervento più richiesto in medicina estetica dalle giovani donne, ma anche il botulino preventivo per le rughe o l’aumento delle aree zigomatiche sono interventi molto gettonati. La ‘Rich girl face’ è un fenomeno alla portata dei più, sostenibile e raggiungibile dalla maggior parte dei ragazzi, soprattutto perché si tratta di un modo di cambiare atteggiamento nei confronti del proprio corpo e quindi del mondo esterno. Tra gli obiettivi di una specifica sessione sul tema nell’ambito del Congresso di Medicina Estetica della SIME, con il coinvolgimento di figure specializzate come psichiatra, psicologo e sociologo per la valutazione – da parte dei medici estetici – di quanto e quando è opportuno intervenire sul corpo di chi ne fa richiesta, interpretando e comprendendo le richieste di bisogni che vanno al di là delle reali necessità.

Fonte: askanews.it 

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Ma servono progetti concreti. Piattaforma WelCare esempio di successo.
Tele-consulto, tele-visita, tele-monitoraggio, ma anche applicazioni digitali per la salute e canali digitali per la collaborazione tra medici di diverse strutture ospedaliere, oltre all’utilizzo diffuso del fascicolo sanitario elettronico. Questi sono solo alcuni degli strumenti di telemedicina che stanno cambiando il volto della sanità. Se ne è parlato oggi nell’ambito dell’evento “La Salute Connessa”, promosso da Novartis, in occasione del lancio della piattaforma di telemedicina WelCare in oncologia ed ematologia, che mette in collegamento centri e medici specialisti di tutta Italia, per favorire lo scambio di informazioni e migliorare la gestione di pazienti con malattie come il tumore al seno, il melanoma, le neoplasie mieloproliferative croniche (MPN), la mastocitosi, la leucemia mieloide cronica (CML), ma anche pazienti candidati al trattamento con CAR-T. Al centro dell’incontro odierno, che ha coinvolto esperti del mondo scientifico, rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni pazienti, i dati dell’analisi realizzata dall’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano, secondo cui la pandemia ha favorito l’utilizzo di piattaforme digitali di collaborazione tra medici e pazienti, con un utilizzo da parte dei pazienti salito di quasi 20 punti percentuali durante l’emergenza (da 11% a 30%). Oggi l’82% dei pazienti intervistati dichiara di volere utilizzare in futuro queste piattaforme.
Reti virtuali che cambiano le modalità di comunicazione tra medico e paziente e che aprono a nuove modalità di collaborazione tra medici. Un esempio concreto e di successo viene da WelCare. Nata lo scorso anno, in piena pandemia, grazie alla collaborazione tra Novartis e Welmed, la piattaforma di telemedicina WelCare ha favorito lo scambio di informazioni tra i medici e i centri erogatori della terapia avanzata CAR-T. Sulla base di questa esperienza, Novartis ha deciso di estendere il progetto e ha annunciato oggi l’ampliamento della piattaforma WelCare, per mettere in collegamento medici specialisti, che in tutta Italia si occupano, oltre che di CAR-T, anche di pazienti con altre patologie oncologiche ed ematologiche. WelCare è il primo passo di un percorso e di un impegno più ampio di Novartis in telemedicina, che continuerà con nuovi strumenti, per raggiungere direttamente il paziente sul territorio, a supporto di ambiti come quello della medicina generale.
Una risposta, quella di WelCare, ai bisogni di medici e pazienti, come confermano i dati dell’Osservatorio. L’analisi rivela infatti che tra i medici specialisti è alta la propensione all’utilizzo della telemedicina, con l’81% degli intervistati che vorrebbe ricorrere al tele-consulto e oltre 6 medici su 10 che vorrebbero utilizzare strumenti di tele-visita e di tele-monitoraggio. La telemedicina apre anche a nuove possibilità di gestione della pratica clinica, a partire dalla sistematizzazione di grandi quantità di dati, come spiega Fabrizio Pane, Professore ordinario di ematologia all’Università Federico II di Napoli e direttore A.F. ematologia della stessa Azienda Ospedaliera Universitaria: “L’utilizzo nella pratica clinica di tecnologie digitali permette la raccolta e la gestione di Big Data, di valore scientifico e clinico, che in futuro avranno un ruolo sempre più importante anche per informare le decisioni diagnostiche e terapeutiche. Piattaforme di scambio tra medici specialistici, come WelCare, permettono di sviluppare nuovi modelli di organizzazione della pratica clinica, in un’ottica più collaborativa ed efficace”.
Attraverso la digitalizzazione dei vari aspetti della pratica clinica, dall’accesso condiviso alla cartella clinica, allo scambio di file e tool per la discussione multidisciplinare, la piattaforma WelCare favorisce la gestione condivisa del paziente tra più medici sul territorio, con vantaggi in termini di qualità della cura e gestione delle risorse sanitarie, come commenta Saverio Cinieri, Presidente eletto AIOM: “La gestione di pazienti come quelli oncologici passa da percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali complessi, che spesso richiedono la stretta collaborazione tra centri specialistici e centri di trattamento sul territorio. Con la telemedicina questa logica viene semplificata e migliorata, perché grazie alle tecnologie digitali possiamo far viaggiare il dato e non il paziente, con notevoli risparmi e con un impatto significativo sulla vita dei pazienti e delle loro famiglie”.
 

Fonte: askanews.it 

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Presentato al Senato il secondo Osservatorio "Silver Economy" di Tendercapital e Censis.
La fascia degli anziani è stata la più colpita dal virus in termini di letalità ma è anche quella che psicologicamente ha reagito meglio alla pandemia e che ora è pronta a tornare protagonista nella società e nell’economia italiana, spendendo, generando consumo e stabilizzando la condizione economica delle generazioni più giovani. E’ quanto emerge dal secondo numero dell’Osservatorio Silver Economy di Tendercapital e Censis, presentato stamane al Senato, che ha analizzato la condizione degli anziani nei mesi più difficili della pandemia.
Secondo lo studio, dal titolo “La Silver economy nell’anno più nero”, la silver generation si è dimostrata la più coriacea nell’affrontare la crisi generata dalla pandemia: il 69,3% degli anziani dichiara di non aver sofferto di stress psicofisico dal marzo 2020, mentre il dato scende al 23,3% tra i giovani e al 34,1% tra gli adulti. Una grande capacità di tenuta e adattamento, un “furore di rivivere” che ha spinto gli anziani a ripartire di slancio. Il 43,4% di loro dedicherà più tempo alla cura personale, facendo uso di cosmetici, praticando fitness, andando dal barbiere o dal parrucchiere ed il 24,7% è pronto a rinnovare il proprio guardaroba. Il 66,4%, inoltre, vuole fare almeno un viaggio o una vacanza in Italia, mentre l’estero è preferito dal 38,4% e il 46,3% è pronto a partecipare a pranzi e cene fuori casa.
Per quanto riguarda gli aspetti legati al risparmio, lo studio sostiene che il silver welfare non si è interrotto con il Covid-19. Infatti, l’88,7% degli anziani si definisce il bancomat di figli e nipoti e al riguardo sono d’accordo il 67,1% degli adulti e il 50,8% dei giovani. E con ogni probabilità – si legge ancora nel rapporto -, sarà ancora così in futuro, poiché il 67,8% degli anziani è convinto che la propria condizione economica sarà migliore o uguale ad oggi nel post pandemia, mentre ad avere la stessa fiducia è il 52,3% degli adulti e dei giovani. E se il 32,2% degli anziani teme una condizione economica peggiore, lo scivolamento in basso è temuto dal 47,7% di adulti e giovani.
Resta tuttavia una frattura intergenerazionale. Per il 54,3% dei giovani, infatti, si spendono troppe risorse pubbliche per gli anziani, ed era il 35% l’anno scorso, mentre per il 74,1% ci sono troppi anziani in posizione di potere, dall’economia, alla società, fino ai media. Un dato in flessione, invece, è quello che riguarda la necessità di ricovero: il 42,2% dei giovani ritiene che in caso di emergenza occorra dar loro la precedenza rispetto agli anziani, un anno fa ne era convinto il 49,3%.
Secondo Moreno Zani, presidente di Tendercapital, “la longevità attiva non si è spenta nel 2021, ma le criticità emerse già lo scorso anno sull’impatto sociale della pandemia restano purtroppo ancora vive. Ora che l’emergenza sanitaria sembra attenuarsi è necessario ricucire la frattura che si è creata tra le generazioni. Scopo dell’Osservatorio Tendercapital-Censis vuole essere proprio questo, accendere i riflettori su una fascia della popolazione che, come quella della silver generation, costituisce una preziosa risorsa per l’economia e la società intera”.
Per Giuseppe De Rita, presidente del Censis, “è importante capire, dal punto di vista sociale, quanto questa forza della dimensione anziana sia destinata ad essere sostituita dalla forza gioventù. L’Italia è un Paese longevo se noi anziani abbiamo sopportato meglio la pandemia è perché facciamo parte di una generazione particolare, nata tra gli anni ’30 e gli anni ’50, che le ha viste tutte, quindi capace di consolidare l’esistenza di sé stessi e della società. Gli anziani, infatti, non hanno drammatizzato più di tanto, mentre i giovani hanno avuto più paura della pandemia. L’emergenza sanitaria ha confermato che il popolo degli anziani ha un suo punto forza e di stabilità sia sul piano psichico sia sul piano finanziario.
“Nell’Osservatorio Tendercapital-Censis sulla Silver economy fa impressione vedere questo risentimento da parte dei giovani verso gli anziani – ha commentato Annamaria Parente, presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato -. Colpisce, poi, il furore di rivivere degli stessi anziani, che durante la pandemia hanno pagato molto le conseguenze dell’emergenza sanitaria. La sanità deve essere concepita come investimento, per poter reinserire dal basso questa voglia di ripartire che va collegata con le opportunità che offre il Paese. Sviluppare la medicina del territorio significa cambiare approccio alla sanità dei cittadini e sviluppare telemedicina, device, 5G, domotica e in generale supportare concretamente l’innovazione tecnologica. Qualità significa, inoltre, avere un maggiore controllo e sono impegnata nel rilancio delle Rsa, migliorando anche la professionalità degli operatori”.

Fonte: askanews.it 

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+50% richieste. Soprattutto fra le trentenni.
L’estate si avvicina e insieme torna l’ansia “da spiaggia”. Dopo mesi di restrizioni e di palestre chiuse a causa della pandemia esplode la corsa al ritocchino: sono tantissime le donne, e gli uomini, a desiderarsi più in forma e così, per esibire in costume una silhouette da fare invidia, si torna sul lettino del chirurgo. Gli interventi più richiesti: seno, glutei e gambe per le donne, addome e pettorali per gli uomini.
“I contagi stanno diminuendo e si intravede un’estate in relax, per molti in riva al mare. Ma dopo un anno di forti limitazioni allo svolgimento di attività fisica, sta crescendo il ricorso alla chirurgia. Nella seconda estate ai tempi del Covid, registriamo un aumento del 50% di richieste, tra uomini e donne, in particolare over 30 – spiega Daniele Spirito, specialista in chirurgia plastica a Roma e Como e docente presso la Scuola di specializzazione in Chirurgia Plastica dell’Università di Milano – alcuni si sono ritrovati impreparati all’appuntamento con l’estate e sono spinti dall’urgenza di prendersi cura di sé, altri hanno solo aspettato il periodo più opportuno per ringiovanire il proprio aspetto fisico”.
Ma quali sono gli interventi più gettonati in vista dell’estate? Decollete: “La mastoplastica additiva è tra gli interventi più richiesti dalle donne – spiega Spirito – Un decollete sodo e prosperoso è sinonimo di femminilità, per questo l’intervento è indicato per chi ha un seno piccolo o che si è svuotato con il passare del tempo. Si tenda a scegliere taglie abbondanti, terza/quarto coppa C/D”. Glutei: “Tra gli ultimi trend esplosi in Italia c’è la chirurgia dei glutei, per un lato B senza inestetismi e dalle forme muscolose. Nuove tecniche, rivoluzionarie rispetto al passato, garantiscono risultati duraturi, minori complicanze e una rapida ripresa. La gluteoplastica con impianti intramuscolari si riserva a pazienti con sederi grandi ma non proiettati. La gluteoplastica sottomuscolare invece a glutei piccoli, donne giovanissime e molto magre”. Gambe: “Lo smartworking e il poco movimento hanno contribuito all’aumento di depositi di grasso localizzato, per questo oggi assistiamo a una richiesta altissima di interventi di liposuzione, in particolare da donne tra i 30 e i 50 anni. Attenzione però a non intervenire sulle caviglie, spesso colpite più che altro da disturbi circolatori”. Addome: “E’ un punto critico in particolare per il genere maschile, uomini, giovani e meno giovani, sempre più inclini ai canoni del mondo culturista. Per chi è in cerca del ‘six pack’, il cosiddetto addome ‘a tartaruga’, si procede con liposuzione con ultrasuoni o con il plasma. Richiesta incrementata dall’avvento della tecnica HD (Hight Definition Body Sculpting)”. Pettorali: “Per aumentare invece il volume muscolare dei pettorali si fa ricorso alle protesi pettorali. Il trend è l’uomo ‘batman’. Si pratica una piccola incisione vicino all’ascella, in anestesia locale con sedazione profonda, anche in day hospital. Si inserisce al di sotto del muscolo una protesi in silicone specifica allo scopo di evidenziare un’ipertrofia del tessuto, raggiungibile solo con mesi e mesi di attività”.

Fonte: askanews.it 

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Tra i pazienti oncoematologici 80% di vaccinati. Amadori: "Tutti devono farlo".
“Trent’anni fa la guaribilità dei tumori del sangue era inferiore al 20%, oggi globalmente siamo in grado di guarire il 60-70% e anche in questi mesi di Covid sono nati farmaci innovativi in grado di cambiare lo scenario terapeutico”. Lo ha detto il professor Sergio Amadori, presidente nazionale di Ail, Associazione italiana contro le leucemie, nel corso di ON.E., le Giornate dell’ematologia e dell’oncoematologia organizzate da Koncept e Ail Firenze.
“Nell’ultimo decennio – ha sottolineato – sono stati raggiunti risultati straordinari, 30 anni fa la chemioterapia ha consentito di ottenere risultati anche significativi, ma aveva già raggiunto il massimo della capacità di curare i tumori e dava grossi problemi di tossicità. Negli ultimi 10 anni grazie alla migliore conoscenza è stata creata una miscela esplosiva che si è tradotta in una ventata di farmaci innovativi che agiscono bersagliando le cellule tumorali senza toccare i tessuti sani. Il sogno del fondatore di Ail, professor Mandelli, era guarire tutti, noi abbiamo imboccato questa strada”.
Anche nel periodo del Covid, ha rilevato, “Ail non si è mai fermata, i nostri 20 mila volontari non si sono tirati indietro, si sono rimboccati le maniche. Il paziente era in crisi per la sua patologia e aveva anche una paura tremenda che il Covid fosse un ulteriore pericolo altissimo, quindi è stata necessaria un’opera di sostegno e di empatia. E poi la ricerca non si è fermata, negli ultimi 4-5 anni e anche nei 2 anni di Covid sono venuti fuori farmaci innovativi che sono in grado di cambiare lo scenario terapeutico. Il Covid ha portato uno sconquasso, ma nessuno si è fermato e alla fine se andiamo a vedere i numeri non sono stati molti i pazienti che hanno subito ritardi nelle diagnosi e nei trattamenti”.
La professoressa Maria Antonietta Specchia, direttrice dell’Unità operativa di ematologia con trapianto del Policlinico di Bari e presidente dell’Ail del capoluogo pugliere, ha spiegato che i medici e i volontari di Ail, in questo periodo, hanno offerto un sostegno e un aiuto, anche per le vaccinazioni. “C’è stata paura e preoccupazione sul vaccino e il compito di noi ematologi è stato rassicurare che il vaccino doveva essere fatto e che Ail lavorava con le società scientifiche che hanno fatto lavoro di squadra per comunicare alle istituzioni la necessità di pianificare al meglio le vaccinazioni per i pazienti oncoematologici. C’è ancora qualcuno che ha delle preoccupazioni ma l’80% dei pazienti ha gradito la vaccinazione”.
A questo proposito Amadori ha lanciato un appello: “Tutti devono vaccinarsi, è l’unica arma che abbiamo per evitare le gravissime conseguenze che può portare il Covid”. Nel periodo del Covid, ha spiegato il professor Alberto Bosi, presidente di Ail Firenze, “sono aumentate tantissimo le richieste di assistenza domiciliare, perché i pazienti non volevano andare in ospedale, ma anche i finanziamenti si sono ridotti perché le campagne hanno subito una contrazione, per fortuna abbiamo avuto il sostegno di alcuni enti”. Certo, “ci sono state difficoltà perché molti infermieri e medici sono stati reclutati per le vaccinazioni, ma c’è stata anche molta solidarietà e sono ottimista”.

Fonte: askanews.it 

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CTS: efficacia e sicurezza anche per questa fascia di età.
La Commissione Tecnico Scientifica (CTS) di AIFA ha approvato l’estensione di indicazione di utilizzo del vaccino Comirnaty (BioNTech/Pfizer) per la fascia di età tra i 12 e i 15 anni, accogliendo pienamente il parere espresso dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA).
Secondo la CTS, infatti, i dati disponibili dimostrano l’efficacia e la sicurezza del vaccino anche per i soggetti compresi in questa fascia di età. Lo scrive la stessa Agenzia del Farmaco in una nota. anche caregivers avranno la possibilità di lavorare a tempo pieno e, proprio come quelli che un tempo erano pazienti, potranno ricominciare a produrre reddito, con vantaggi a cascata per il gettito fiscale e il sistema pensionistico”.
 

Fonte: Askanews.it

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Promossa da Novartis con le associazioni dei pazienti.
Il mal di schiena si combatte anche attraverso una corretta informazione, una cura adeguata e l’aiuto dalla ginnastica posturale. E’ quanto viene sostenuto dalla campagna di sensibilizzazione “Mal di schiena da incubo” promossa da Novartis con il patrocinio delle associazioni pazienti e in collaborazione con Postura da Paura.
Più dell’80% delle persone sperimenta mal di schiena nel corso della loro vita. I fattori che causano dolore possono essere diversi, ma i sintomi spesso sono gli stessi. Ecco perché le persone con mal di schiena cronico potrebbero non essere diagnosticate o minimizzare la causa sottostante del dolore, ma esistono 2 tipi di mal di schiena: quello meccanico e quello infiammatorio. Per i pazienti affetti da mal di schiena, è importante distinguere l’eziologia del dolore infiammatorio da quella del dolore meccanico. La sinergia con il medico di medicina generale per identificare la causa del mal di schiena è importante perché può indirizzare verso lo specialista di riferimento: il reumatologo, che può identificare la patologia, velocizzare il percorso diagnostico-terapeutico, migliorare la gestione del dolore e ridurne così l’impatto sulla qualità di vita.


La campagna vuole sensibilizzare proprio sul mal di schiena infiammatorio, una patologia sottodiagnosticata e spesso invalidante, che colpisce circa 1 adulto su 5 (il 20% della popolazione adulta soffre di mal di schiena che dura per più di 3 mesi). Spesso compare prima dei 40 anni ed è caratterizzato da persistenza del dolore per 3 o più mesi, rigidità mattutina che migliora con il movimento o con l’esercizio fisico, dolore intermittente alle natiche. I sintomi peggiorano con il riposo, si intensificano specialmente al mattino o durante la notte. Questo disagio può influire sulla qualità del sonno ed è uno dei motivi per cui molte persone con mal di schiena infiammatorio presentano anche disturbi del sonno .
L’esercizio fisico, se praticato con costanza e con i giusti movimenti può essere un beneficio. Per questo Novartis, in collaborazione con Postura da Paura, ha realizzato una serie di video pensati per chi soffre di mal di schiena. Sui canali social Facebook @Saichelasa e Instagram @Saichelasa, un nuovo video a settimana con consigli ed esercizi da svolgere comodamente da casa contro questa patologia. L’esperta e fondatrice di Postura da Paura, Sara Compagni, farà da guida nella conduzione degli esercizi del “Programma da incubo”. Inoltre nella sezione dedicata alla campagna sul sito www.saichelasa.it è possibile trovare informazioni utili, consigli pratici e un importante test di valutazione dei sintomi del mal di schiena.


“Mal di Schiena da incubo” è patrocinata dalle principali Associazioni di Pazienti, APMARR- Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare, AMRER – Ass. Malati Reumatici Emilia Romagna, ANMAR – Associazione Nazionale Malati Reumatici e ONDA – Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere.
“Ascoltare i bisogni dei pazienti ed essere al loro fianco con risposte concrete è sempre stata una priorità per Novartis. Poichè il mal di schiena infiammatorio può avere un impatto significativo sulla vita delle persone dal punto di vista fisico, psicologico e sociale, e alla lunga può portare anche alla disabilità, è importante sostenere chi ne soffre nella scelta di un piano di gestione adeguato assieme al proprio medico – ha affermato Daniela Della Monica, Head of Franchise Immunology, Epatology and Dermatology Novartis -. ‘Mal di schiena da incubo’ si inserisce in un più ampio progetto di comunicazione che ci vede impegnati per sensibilizzare e mantenere alta l’attenzione su patologie ancora troppo spesso sottodiagnosticate proprio come il mal di schiena infiammatorio”.

Fonte: Askanews.it

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Smettere è il primissimo atto amore che possiamo fare per nostri figli.
“Il fumo può distruggere il sogno di diventare mamma e papà, naturalmente o anche con l’aiuto delle tecniche di procreazione assistita”. È il messaggio lanciato da Antonino Guglielmino presidente della Società italiana di riproduzione umana (SIRU), in occasione della Giornata mondiale contro il tabacco che si celebra oggi in tutto il mondo. La combustione del tabacco di sigaretta produce circa 4000 sostanze, molte delle quali nocive alle cellule riproduttive maschili e femminili. “Il fumo, quindi, può ridurre la fertilità sia delle donne che degli uomini”, spiega Guglielmino. “Si stima che circa il 13% dell’infertilità femminile dipende dal fumo che è molto dannoso per le ovaie: maggiori sono le sigarette che si fumano e la durata di questa cattiva abitudine, e minori sono le possibilità di concepire”, aggiunge. Allo stesso modo le sostanze chimiche sprigionate dalla combustione del tabacco danneggiano la fertilità maschile già nella fase di produzione degli spermatozoi. “Per aumentare le chance di diventare papà è bene abbandonare le sigarette”, sottolinea il presidente della SIRU. Secondo Guglielmino, “il primo vero atto d’amore di un genitore verso i propri figli”.

Fonte: Askanews.it

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Indagine SWG in occasione della Giornata Mondiale.
In occasione della Giornata Mondiale della Sclerosi Multipla il 30 maggio, l’istituto di ricerca SWG ha condotto per Almirall – azienda farmaceutica internazionale impegnata in dermatologia e Sclerosi Multipla – una ricerca per capire quanto la malattia sia davvero conosciuta da parte degli italiani e quanti falsi miti siano ancora presenti sulla qualità di vita di chi ne è affetto. Dai risultati della ricerca, condotta su un campione di 800 persone rappresentativo della popolazione maggiorenne italiana, emerge che quasi la totalità degli intervistati ha sentito parlare della malattia (98%), ma le persone che effettivamente ne mostrano una buona conoscenza è piuttosto ridotta. Solo il 53% del campione conosce infatti che si tratta di una malattia non ereditaria, mentre il 70% sa che attualmente non ci sono cure per questa malattia, nozione diffusa soprattutto tra i giovani. La Sclerosi Multipla (SM) è una malattia autoimmune cronica che colpisce il sistema nervoso centrale e colpisce oggi oltre 2 milioni e mezzo di persone in tutto il mondo. Per questa malattia non vi è una cura, ma solo trattamenti che ne rallentano il decorso. Chiunque può sviluppare la SM, ma sono le donne che risultano essere più colpite, il doppio rispetto agli uomini, e la diagnosi arriva principalmente nella fascia d’età tra i 20 e 40 anni. Informazioni che la maggior parte della popolazione non conosce: solo il 14% ha infatti indicato le donne europee e nordamericane come target principale della malattia. Discrepanze tra la realtà e la conoscenza diffusa tra gli italiani si hanno anche sul tema della qualità di vita dei malati di Sclerosi Multipla. Il quadro che emerge è che solo una minoranza degli intervistati ritiene che una persona con Sclerosi Multipla possa fare attività lavorative, sportive o legate alla quotidianità. In particolare, il 75% ritiene che un malato di SM faccia difficoltà a svolgere le mansioni quotidiane, che debba assumere farmaci più volte al giorno (70%) e che dovrà sicuramente ricorrere all’uso della carrozzina a rotelle (67%). Dall’altra parte, solo il 31% ritiene che una persona affetta da SM possa svolgere la maggior parte dei lavori, che può guidare l’auto (possibile solo per il 38% degli intervistati) e che, se donna, può portare a termine una gravidanza (39%).
La malattia ha un decorso variabile e si presenta con caratteristiche che possono cambiare molto da una persona all’altra, ma non necessariamente portano allo sviluppo di una disabilità grave. Le donne, ad esempio, possono portare avanti una gravidanza e molti pazienti sono in grado di volgere le mansioni quotidiane e lavorare. Sono quindi importanti le terapie che le persone affette dalla malattia possono intraprendere, insieme al proprio medico, così da rallentarne la progressione e permettere di migliorare la propria qualità di vita. Dal sondaggio emerge come i sintomi siano noti al grande pubblico: difficoltà motoria e spasticità, ovvero la rigidità muscolare, sono infatti i due sintomi più comunemente ricondotti alla malattia, indicati rispettivamente dal 71% e dal 68% degli intervistati, mentre il dolore articolare è stato associato dal 52%.

Fonte: Askanews.it

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